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SPACCACUORE, Spazio Contemporanea, Brescia, a cura di Gloria Pasotti- double solo show

Doppio Solo Show con Monica Mazzone

SENTIERO LUMINOSO di Luigi Presicce

Che razza di titolo è Spaccacuore? È come pensare che “Cuore Matto” o “24 mila baci” possano diventare delle hit! Ora, in questo momento storico! Come sedersi di fronte alla TV e guardarsi (dall’inizio alla fine) un film con Bobby Solo, Gianni Morandi o Nino D’Angelo! La trama è più o meno sempre la stessa in tutto quel genere di film: un lui e una lei si incontrano per caso e si innamorano, ma scattano subito degli impedimenti, delle complicazioni, ostacoli a non finire: lui parte, lei parte, i genitori di lei non vogliono, i genitori di lui sono poveri, le vacanze finiscono, lui parte per la leva, lei ha un altro, lui scopre che lei è una principessa… Partiamo da qui: lui scopre che lei è una principessa. A volte, nella finzione filmica, il titolo nobiliare di cui sopra riveste una funzione puramente decorativa per lei e mortificante invece per lui, ma quante volte abbiamo appellato la nostra ragazza di turno con questo titolo senza che fosse minimamente preso in considerazione un eventuale patrimonio in allegato? Vi era un periodo in cui andava di moda scrivere con lo spray “ciao principessa” sul marciapiede di fronte all’abitazione dell’amata. È come quando vedi i tormentoni su i reels di Instagram in cui tutti fanno la stessa cosa per emulazione o per far parte di un branco (di stolti).

Questo strano concetto di principessa “anobiliare” dovrebbe significare che, la lei in questione, è al di sopra di tutte le cose, prima nella lista dei pensieri e prima nella classifica delle bellezze del creato. Per qualcuno ovviamente questo concetto non vale o semplicemente gode del supplemento di relatività: non tutti gli anatroccoli nascono belli, ogni tanto uno nero (non di colore, sia chiaro!) fa breccia nel panorama delle varianti. Il proverbio recita: “se non ti assomigli non ti pigli” (italianizzato). Per cui a volte si vedono coppie bellissime da fare invidia e altre volte coppie in cui dici: “per fortuna si accoppiano tra di loro e Dio ce ne scampi” Passiamo però a un livello meno becero dalla bellezza tout court, altrimenti dovremmo considerare davvero le coppie vip, che poi alla fin della fiera vendono i prodotti per “campare”. Consideriamo appunto come questo livello di “nobiltà senza titoli” possa davvero essere motivo di interesse in una coppia di scrittori, artisti, architetti ecc. L’estate scorsa stavo vivendo in una profonda crisi e tra i libri che ho letto c’era anche quello di una tale Marilena Mosco dal titolo Artisti in coppia. Sottotitolo: passione, complicità, competizione. Devo dire, in forma di premessa, che io ho sempre evitato come la peste di avere relazioni con artiste, e sono stato anche abbastanza bravo fino a un paio di anni fa, in cui mi sono innamorato di una pittrice. Detto ciò, il libro non parlava di me e di Anna Capolupo e non mi ha dato molte speranze a riguardo, anzi non ha fatto altro che confermare la mia posizione avversa nei confronti dell’argomento. Il libro prende in esame una serie di coppie note nella Storia dell’Arte come Roden e Camille Claudel, Modigliani e Beatrice Hastings, Picasso e Dora Maar, Larionov e la Gončarova, i Delaunay, Pollock e Lee Krasner, Stieglitz e la O’keeffe fino ad arrivare alla coppia più blasonata dell’arte pop (non in senso artistico, ma di consumo di massa) Diego Rivera e Frida Kahlo. In un turbinio di manifestazioni amorose in cui l’idea di compagna/o e musa si fomenta in una follia che è propria solo degli artisti, si susseguono nel libro, suicidi, morte, disperazione, manicomi, lettere d’amore, matrimoni, separazioni, odio profondo, dissidio, tradimenti, riappacificazioni, tormenti e gloria… Insomma alla fine ero persuaso nella mia sana convinzione che navigavo nelle acque del giusto e che nulla mi avrebbe fatto cambiare idea. Non è andata in questo modo. Per niente. Ho cercato di riprendere in mano la mia storia con la pittrice della quale mi ero immamorato due anni orsono e che intanto era naufragata. Cosa mi abbia spinto a fare tutto questo ancora non me lo so spiegare, ma forse il titolo di questa mostra, Spaccacuore, puó servire a spiegare a me stesso e a chi legge il perché di questo scritto. Ho conosciuto Monica Mazzone e Mattia Barbieri a New York. Loro sostenevano che ci fossimo già incontrati a Milano, io negavo… come si fa spesso quando non ricordi né la faccia né il nome delle persone con le quali stai parlando. Questo disagio è per me raro dato che ho una memoria straordinaria per i nomi, le facce e le camminate della gente. Defaillance a parte, ricordo che quella sera c’era l’opening di Cuchifritos Gallery e relativa residenza (Artists Alliance Inc.) dove ero ospite anche io, appena arrivato per trascorrere i primi tre dei sei mesi previsti. Conoscevo poca gente a New York, nonostante ci fossi stato diversi anni prima e ancora di recente. Mi intrattenevo di rado con i curatori della residenza Alessandro e Jodi e uno sparuto gruppetto di italiani raminghi con i quali tentavo una forma di familiarità ostentata. Poi c’erano di artisti in residenza con me e qualche naturalizzato che avevo conosciuto in Italia come gli AND AND AND (René Gabri e Ayreen Anastas) o Ari Marcopoulos. Il mio inglese però era pessimo (e non è migliorato negli anni, anzi!) e quindi due nuove amicizie italiane mi avrebbero fatto piacere o comodo che dir si voglia. Rimanemmo quindi che ci saremmo sentiti per una cena, cosa che non avvenne di fatto, ma ci incontrammo di nuovo più in là nello stesso punto della prima volta. Di li a poco iniziai a capire cosa facevano loro o altri a New York e quando mi sentì pronto e padrone di una cerchia di nomi residenti nella grande mela mi inventai la Scuola di Santa Rosa NY (costola di quella italiana). Individuai un posto con un’amica, il Sel Rrose tra Delancey e la Bowery, un oyster bar che coincidenza serviva un cocktail chiamato Santa Rosa. Qui ogni martedì pomeriggio (in differita con la Scuola di Santa Rosa a Firenze tenuta da Francesco Lauretta) ci incontravamo per disegnare e bere. La prima volta ci presentammo agguerriti, io e l’amico Andrea Mastrovito, disegnatore per eccellenza, eravamo in due e faceva un freddo cane come solo a New York sa fare quando tira vento. Passò casualmente Michael Stipe dei R.E.M. e ci vide al freddo e al gelo che disegnavamo… sembravamo il bue e l’asinello del presepe, tanto eravamo rannicchiati su noi stessi e con le mani nascoste dentro le maniche della giacca. Chissà se Michael pensesse che eravamo dei disgraziati. Gelo a parte, di martedì in martedì la stagione andava a migliorare e con lei il numero di quelli che intanto avevano saputo che lì si faceva la Scuola di Santa Rosa. Qualcuno veniva solo per bere e stare in compagnia, altri invece erano proprio diventati affezionati alla cosa come Sara Enrico e Ludovica Carbotta (di stanza a NY in quel periodo) o Francesco Simeti che dopo ci portava a mangiare la pizza, autoctono qual è. Da due che eravamo insomma diventammo quasi sempre una decina a volte anche più, con qualche artista americana che veniva con Gian Maria Tosatti e altre new entry che non avevano nulla a che fare con il disegno come Veronica Santi. Questa parte del testo non vuole esaltare la Scuola di Santa Rosa, anche se indirettamente lo fa, ma cercare di far capire al lettore come nei tre lunghi periodi in cui sono stato a New York, i pomeriggi al Sel Rrose siano stati un collante per tutta una serie di persone che pur stando nella stessa città (manco tanto piccola) non si incontravano praticamente mai. Tra questi i nostri Monica e Mattia che essendo coppia vivevano una condizione abbastanza privilegiata. Insomma all’inizio è stato bello scoprire che c’era un sapore nuovo in questi incontri e loro hanno iniziato ad assaporare questa compagnia anche con i bizzarri disegni di Mattia e i curiosi giochi di linee colorate in movimento fatte da Monica con il telefono o il tablet. La mia era tutta invidia nel vedere Monica costruire i suoi “ritratti” attraverso procedimenti che ancora oggi non riesco a capire, mentre capivo alla perfezione i buffi anagrammi iconici di Mattia con i quali cercava di comporre il nome della persona ritratta o le splendide caricature degli astanti fatte utilizzando righelli e goniometri: linee perfettamente geometriche intervallate da gesti inconsulti e nervosi. Tra i due quella matta sembrava lei, ma poi lui tirava fuori delle cose che se ci penso ancora mi fanno ridere a crepapelle (un’altra parola come spaccacuore). Rimarrà impresso nella mia memoria il ritratto di profilo di Mastrovito con sotto scritto: La Chimera. Un capolavoro assoluto della ritrattistica! Intanto mentre io ero costretto a ritornare in patria, loro rimanevano li a fare mostre, residenze, fare lavoretti, cambiare case, affittare storage, spostare cartoni ecc. Nella seconda parte della mia residenza avevo anche approfittato della loro ospitalità per pochi giorni, quando scaduto il mio contratto di casa, sarei dovuto ripartire a breve. Monica non c’era, credo fosse in Italia, mentre Mattia c’era e continuava a fare scherzi, tipo: “ho dimenticato le chiavi dentro, dobbiamo rompere la finestra per entrare…” tutto questo al freddo più glaciale del mondo e noi fuori come dei cretini (io, Stefano Giuri e Matteo Coluccia). Alla fine anche io gli feci uno scherzo involontario: salimmo sul transfer che ci avrebbe portato al JFK e ci salutammo con vigore. La macchina parte e vedo dallo specchietto retrovisore un tizio (Mattia) che urlava e ci inseguiva correndo con una valigia tenuta sulla testa… Era la mia valigia. Dimenticata bellamente. Arrivò intanto il momento del Simposio di pittura alla Fondazione Lac o le Mon. Era la seconda edizione nell’estate del 2019, decisi di invitare sia Monica che Mattia. Arrivarono a San Cesario di Lecce quasi senza sosta da New York carichi di birre! Si sistemarono al piano superiore della casa adibito a zona notte e conobbero tutti gli altri invitati, eravamo quasi in trenta, un numero spropositato se si considera che la casa é completamente auto-sostenibile attraverso un impianto fotovoltaico. Questo voleva dire che una sera sì e l’altra pure rimanevamo senza acqua né luce! In ogni caso non furono queste le cose ad essere considerate difficoltà; si dormiva insieme, qualcuno faceva la spesa, altri cucinavano, altri ancora facevano le pulizie e si mangiava e beveva tutti insieme. L’idea utopica di comune attuata con armonia. Si dipingeva anche in quei giorni e si andava al mare la mattina o al pomeriggio. Ricordo che uno dei primi giorni avevamo organizzato una Scuola di Santa Rosa con pranzo di pesce annesso alla Maruzzella, un postaccio sul mare, vicino Gallipoli gestito da galeotti e bombaroli. Erano tutti come presi da euforia, ma Monica più di tutti, indossava un bikini che non faceva in tempo ad asciugare, nonostante il sole torrido, per quanto continuava a correre avanti e indietro per tuffarsi e risalire, tuffarsi e risalire e poi ancora tuffarsi e risalire… Sembrava avesse non più di 6 anni! Anche Mattia a suo modo sembrava eccitato, restava sotto il sole a picco a dare i fondi alle sue tavolette con un costume da bagno olimpionico, a fine sessione era cotto, sembrava un’aragosta con uno slip blu! Gli venne la febbre da insolazione. I giorni passavano e ci si ambientava un pò tutti, io compreso che intanto ero diventato il responsabile della casa vacanza. Mi piaceva vedere i miei ospiti divertirsi e lavorare, creare e occuparsi della casa e degli altri. Nascevano intanto nuove coppie che si andavano ad aggiungere a quelli già accoppiati, erano giorni felici fuori dai soliti turbamenti. Monica scattava fotografie agli altri e attraverso un complesso sistema di algoritmi e macumbe strane trasformava i volti degli astanti in quadri con turbolente figure geometriche tridimensionali, a tratti super appuntite e spigolose a tratti morbide e tondeggianti. Io stesso fui tradotto in quel modo… Ovviamente la somiglianza con il soggetto reale rimaneva una questione tutta sua, di Monica, che rideva compiaciuta quasi avesse fatto il nuovo record di salto in alto a occhi chiusi e con una mano dietro la schiena. Mattia dal canto suo mi ipnotizzava con dei profili di teste totalmente sospese e metafisiche, creava paesaggi e sfondi naturali completamente in contrasto con le teste, le faceva volare letteralmente nell’aria, le teneva in sospensione, come a trattenere il fiato. A proposito: qualche tempo fa a Verona ho sentito Monica che spiegava i suoi dipinti a un collezionista e mi è rimasto impresso sentirla raccontare di quando trattiene il fiato mentre tira una linea (sottilissima) con il pennello. Mentre lui simula un’apnea, lei rischia di rimanerci secca! Torniamo al nostro simposio però, manca la parte in cui racconto delle interviste segrete! Nel corso della prima edizione del 2018 avevo concepito un format che consisteva nell’isolare un componente del gruppo e fargli, mentre viene ripreso, trentatré domande. Ovviamente quello che conta è la risposta immediata e di cuore, per cui quelli già intervistati non svelavano mai il contenuto delle domande ai nuovi venuti. Questo momento arrivò anche per Monica e Mattia e ricordo di aver patito con Monica il suo pianto legato a una bruttissima notizia ricevuta in quei giorni (notizie che solo a noi figli possono dare). Lei, sembrava fatta di lamina d’acciaio fino a quel momento, ma in quell’istante aveva tirato fuori quella dolcezza tutta sua che continuamente combatte per sopraffare ed emergere tra le spigolosità del suo carattere. Fu un momento di rara commozione per entrambi, non ci posso ripensare che gli occhi mi si bagnano ancora. Anche Mattia tirò fuori un aspetto della sua personalità che mi era completamente sconosciuto, capì dalle sue parole quanto credeva nell’onnipotente, quanto la sua anima fosse devota, senza apparire neanche per un momento uno stolto senza ragioni. Sono stato davvero contento di aver avuto l’occasione di conoscerli in quella circostanza e appena sono ritornato a New York e li ho rincontrati ho capito che la nostra amicizia era forte, impavida e senza confini. La prova che sia esattamente come dico, sta nel fatto che mi abbiano chiesto di scrivere questo testo per la mostra che faranno insieme. Se valutiamo questo aspetto, a tratti goliardico, di fare un’esposizione insieme, lei e lui, tutto riparte da capo, dal principio di queste parole, dove tra le righe, parlando di sciocchezze e principesse ritrovo in Monica e Mattia il senso dell’unirsi in un unico corpo o massa camminante, come i quadri di Mattia in cui una figura alta e possente ne trasporta sulle spalle un’altra piccola e delicata. A nessuno però è dato sapere chi e in quale momento della vita interpreterà San Cristoforo, potrebbe essere lui che porta lei come l’esatto contrario, la vita è un mistero e come tale va presa fino in fondo. Ho dovuto soffermarmi più volte sul carattere di entrambi che da ora in poi chiamerò la loro bellezza. La loro bellezza va preservata, va tenuta in uno scrigno. Stamattina qualcuno mi ha chiesto se tornerà la normalità, io gli ho risposto che se per normalità intendeva routine e vecchie abitudini allora tanto vale dare sfogo allo scorrere evolutivo della specie e migliorarla, ammesso che ci si riesca. Quando due persone con la loro bellezza si incontrano, non si può fare altro che sperare in qualcosa di luminoso, non solo per loro e per noi che li conosciamo, ma per tutta la nostra specie.

Luigi Presicce

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